Il rimedio della Fortuna, uno spettacolo ambizioso e magmatico

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La mia fine è il mio inizio, il mio inizio è la mia fine. Conforto e mistero si fanno largo nelle parole di Speranza, interpretata da Fanny Ardant, a definire la polifonia di sensi de Il rimedio della Fortuna, ispirato al poema medievale Le Remède de Fortune del poeta e compositore Guillaume de Machaut e portato sul palco del Palladium, nell’ambito del Romaeuropa Festival 2012, nella rivisitazione musicale di Filippo Del Corno e con l’apporto dell’ensemble Sentieri Selvaggi e delle video performance firmate Masbedo.

La fuga del cantore innamorato in un locus amoenus in grado di rincuorarlo è un topos che, sviluppandosi dalla letteratura medievale (dal De consolatione philosophiae di Boezio ai dialoghi in rima del Petrarca), avrebbe trovato terreno fertile nella poetica rinascimentale, particolarmente sensibile a certi slanci sentimentali e a rappresentazioni sceniche con musiche attraverso le quali poter veicolare i dettami dell’amor cortese.

Come ogni riscrittura che si rispetti, anche questo nuovo Rimedio costringe lo spettatore a misurarsi con qualcosa di inatteso e, in fondo, estremamente complesso: le sonorità dell’età di mezzo non hanno diritto di cittadinanza nella partitura di Del Corno, colma di suggestioni sensoriali e di riferimenti espliciti alla natura ambigua dell’amore, ineffabilmente sospesa tra il laconico e il roboante senza che si perda mai l’emozione dello smarrimento e l’estasi del ricongiungimento; allo stesso modo, i pensieri dei protagonisti (su traduzione ragionata dal francese di Alex Cremonesi), privati degli sterili arcaismi medievali, si forgiano nella musica e nel canto dei bravissimi Mirko Guadagnino e Chiharu Kubo, fino a dar vita a un’esecuzione ricercata e creativa della tradizione, e fornendo ai Sentieri Selvaggi, diretti dal maestro Carlo Boccadoro, una sfida di precisione dove ogni nota viene restituita con cristallina purezza.

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Ad occupare la scena, una Ardant dalla presenza regale che, non senza fatica, combatte gli attimi di smarrimento legati alla comprensione di un testo altamente allegorico, mentre sullo sfondo si susseguono le improvvisazioni video artistiche di Nicolò Massazza e Iacopo Bedogni, immagini dell’inconscio che risvegliano umori inquietanti, mostri marini e altalene sgranate in pixel, un abito da festa crudelmente lacerato e piccole installazioni create in tempo reale e ingigantite sullo schermo, un teschio camuffato, una casa che sembra uscita da un quadro di Escher, mani legate dal fuoco della passione, routine casalinga in pezzi e tante altre impressioni filtrate dalla fantasia Masbedo.

Uno spettacolo ambizioso e magmatico, sul quale grava una certa disorganicità delle parti e qualche pretesa non meglio riposta, controbilanciate dalla passione e dalla qualità che l’intera squadra porta sul palco.

Giuseppe D’Errico

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